8×5. Dove 8 sta per otto ore al giorno e 5 sta per cinque giorni alla settimana.
È l’orario di lavoro previsto dal Contratto Nazionale, un contratto che non si applica, evidentemente, ai dipendenti della Texprint di Prato, costretti a lavorare dodici ore al giorno, sette giorni su sette, senza pause, senza tutele in caso di malattia, sorvegliati da telecamere illegali, in condizioni di sicurezza tutte da verificare.
In sciopero dal 18 gennaio, hanno dato vita il mese successivo a un presidio permanente per reclamare i loro diritti. A oggi tutto quello che hanno ottenuto è stato il licenziamento per 13 di loro e lettere di sospensione per gli altri; a questo si aggiunga il pestaggio subito da tre ex operai (tra gli aggressori – una quindicina di persone – anche alcuni capi della Texprint), il ferimento di un ragazzo pachistano colpito alla testa con un mattone e persino la rottura di due dita di un altro ragazzo che stava riprendendo la scena, senza trascurare le ripetute “attenzioni” da parte delle forze dell’ordine che, come purtroppo non è infrequente che accada, sono schierate dalla parte di chi ha il potere e non di chi quel potere subisce. La vicenda della Texprint, infatti porta alla luce un sistema di sfruttamento largamente diffuso nel distretto tessile pratese e, pur se le notizie hanno avuto in questo caso rilevanza nazionale, le istituzioni – a cominciare dal sindaco di Prato – non sembrano intenzionate a farsene carico, probabilmente per paura (ma è solo paura?) di danneggiare un settore che per il territorio è importantissimo (per quanto possa sembrare incredibile nella società odierna il benessere, la salute, persino la vita degli esseri umani vengono sempre dopo rispetto agli interessi economici).
Noialtri del Botteghino continuiamo a sognare un mondo migliore, una società più giusta; per questo quando il Comitato dei lavoratori Piaggio ci ha proposto di ospitare quest’iniziativa abbiamo accettato con entusiasmo. Sabato 17 luglio, a partire dalle 18:30, incontreremo i lavoratori della Texprint, che ci parleranno delle loro condizioni di lavoro e delle loro rivendicazioni; alle ore 20:00 ci sarà una cena il cui ricavato andrà a sostenere questi lavoratori (la prenotazione è obbligatoria: mandate un messaggio a Adriana – 3492804297 – oppure a me – 3389401859 – se volete partecipare), poi la serata proseguirà con la musica dei TerrAccutizZ.
Noi stiamo dalla parte dei lavoratori della Texprint; voi da che parte state?
«Una delle più incredibili, affascinanti, paradossali e detonanti storie (vere) che mai vi possa capitare di sentire, vedere e ascoltare!» – così Remo Lenci descrive «Il medico matto», il nuovo spettacolo che metterà in scena, assieme alla sua complice Rosita Ambrosio, proprio al Botteghino: una prima nazionale («mondiale, persino!», dice Lenci) che siamo orgogliosi di ospitare.
Remo e Rosita formano la «R&R», una «non-compagnia fluida» che ama collaborare con altre realtà e coinvolgere più persone possibile nei suoi progetti: per questo «medico matto», per esempio, i due si sono affidati a Massimo Bernacchi per le animazioni, al «nostro» Gianni Capecchi che ha composto e eseguito i brani musicali che accompagnano lo spettacolo e a Sandro Marzocchini (un altro dei «nostri») come assistente e coordinatore.
Chi era «il medico matto»? Era quel signore dall’interminabile sfilza di pseudonimi che passeggiava per Pontedera avvolto nel suo cappotto anche in piena estate, che si esprimeva talvolta in un linguaggio che ricorda quello del placito cassinese e immaginava per sé un monumento intitolato «all’unico vero matto»? Oppure era l’insigne professore dalla cultura enciclopedica, il luminare che per anni ha diretto il dipartimento di igiene mentale di Volterra, il militante che si candidò per Rifondazione Comunista alle elezioni comunali del 2014? Remo Lenci e Rosita Ambrosio, sulla base delle poesie e dei disegni che ci ha lasciato e delle testimonianze di chi l’ha conosciuto da vicino tentano di ricostruire la figura – o, per meglio dire, una delle possibili figure – del dottor Alberto Pacchiani, il «medico matto» del titolo, in uno spettacolo multimediale che presenteranno, come detto, in anteprima nazionale al Circolo Arci Il Botteghino venerdì 9 luglio alle ore 21:30.
«La rosa è viva e fiorirà certamente»: così scriveva, nell’estate del 1929, Antonio Gramsci alla cognata Tania dal carcere di Turi dove era detenuto. La metafora è cristallina e, per certi versi, sorprendente: non fiorirà quest’estate, ma «il caldo prepara il gelo» ed è «sotto la neve [che] palpitano già le prime violette».
Sotto la neve palpita anche il cuore di Gaia, adolescente romana protagonista del nuovo romanzo di Denise Ciampi che deve il suo titolo proprio alle parole di Gramsci: “La rosa è viva”. Gaia è una militante neofascista; Denise la dipinge come una ragazza onesta e generosa, alla disperata ricerca di quelle certezze e di quei punti di riferimento che solo la facile propaganda dell’estrema destra sembra in grado di offrirle. E tuttavia quelle certezze iniziano a vacillare quando sulla sua strada Gaia incontra un «fantasma», la bisnonna paterna delle cui vicende la ragazza viene a conoscenza attraverso le lettere che la donna aveva scritto (anche) dal campo di concentramento di Ravensbrück dove scontava la sua prigionia per aver aiutato i partigiani.
Se a un primo livello “La rosa è viva” può essere considerato un classico romanzo di formazione, i temi che affronta sono molteplici e tutti meritevoli di essere approfonditi. Su tutti: la memoria del passato che ha bisogno di essere recuperata e – forse – la memoria per il futuro che tutti noi stiamo trascurando di costruire; un’adolescenza che il mondo degli adulti non riesce, colpevolmente, ad accompagnare nel cammino verso la maturazione; la necessità di riscoprire forme di comunicazione complesse, capaci di trasmettere sentimenti, emozioni e, perché no?, progetti che altro non sono, probabilmente, che un po’ di quelle «violette che palpitano sotto la neve» a cui faceva cenno Gramsci.
Ne parleremodomenica 4 luglio alle 21:30, in un incontro pubblico con Denise Ciampi al Circolo ARCI Il Botteghino, durante la presentazione di questo romanzo che, da parte mia, vi consiglio fin da adesso di leggere perché è molto bello. A condurre la serata saranno Chiara Lazzeri e il sottoscritto (Gianluca Macelloni, per servirvi), ed è prevista la partecipazione di alcuni ospiti di cui sveleremo i nomi solo quando la loro presenza sarà certa.
Leonardo Martinelli detto «Parafango» nasce alla fine della seconda mondiale in un manicomio. Dopo una disastrosa partecipazione a un Giro d’Italia sposa una ragazza di nome Brunilde, dalla quale si separerà poco tempo dopo. Muore in circostanze misteriose.
A Martinelli il cantautore Stefano Nottoli ha dedicato dapprima una canzone, quindi un intero album, poi uno spettacolo teatrale in cui alle canzoni si alternavano monologhi in vernacolo lucchese (affidati a Simonetta Bianchi della compagnia teatrale Invicta) e, infine, un lungo racconto pubblicato dall’editore Del Bucchia.
Parafango è un personaggio di fantasia ma per raccontarne le vicende Stefano Nottoli si è ispirato ai suoi ricordi d’infanzia e a numerose “storie di paese“ che ha ascoltato in giro e che hanno il sapore, molto spesso, di leggende metropolitane: ne è venuta fuori una storia di quelle che a noi paiono sin troppo sopra le righe per essere veramente false. Se volete farvene un’idea fate un salto sabato 3 luglio alle ore 21:30, al Circolo ARCI Il Botteghino: presenteremo il libro di Stefano Nottoli «Lo chiamavano Parafango» e, in compagnia dell’autore e di Simonetta, ripercorreremo la vita e le opere di Leonardo Martinelli detto «Parafango» in un viaggio tra aneddoti, letture e canzoni. Vedrete che vi sembrerà di ascoltare una di quelle storie che qualcuno vi ha raccontato tanti anni fa e cui, in fondo in fondo, avete persino creduto.
I mezzi di comunicazione ci parlano di un paese che sta precipitando nel caos, di una protesta popolare che sta arrivando alla fine della sua prima fase mentre restano impunite centinaia di violazioni dei diritti umani perpetrate dallo stato. Non sappiamo molto altro, in realtà, perché le vicende dei paesi sudamericani sembrano non appassionare più di tanto l’opinione pubblica italiana e così le notizie che ci arrivano sono scarse: quel che sappiamo è il cosiddetto “minimo sindacale” elargito più per dovere di cronaca che per volontà di fare informazione.
Questo pomeriggio, al Circolo ARCI Il Botteghino, tenteremo di fare un po’ di chiarezza. Alice Pistolesi, giornalista, condurrà un dibattito a cui parteciperanno Jorge Romero Mora, artista colombiano e amico di vecchia data del Circolo, Maria Constanza Solarte, artista colombiana, e Genny Salerno, responsabile del settore immigrazione di ARCI Valdera. Nel corso del dibattito sono previsti collegamenti video con la Colombia.
Cercheremo, insomma, di saperne, e soprattutto di capirne, un po’ di più.
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